| 
  • If you are citizen of an European Union member nation, you may not use this service unless you are at least 16 years old.

  • You already know Dokkio is an AI-powered assistant to organize & manage your digital files & messages. Very soon, Dokkio will support Outlook as well as One Drive. Check it out today!

View
 

Donatismo

Page history last edited by Paolo E. Castellina 4 years, 1 month ago

Donatismo


Il donatismo fu un grande movimento scismatico che fiorì nel IV secolo e abbracciò ampie zone della chiesa africana. Esso può essere capito come un particolare modo della chiesa di rapportarsi al mondo. La questione del rapporto tra la chiesa ed il mondo deve essere affrontata in ogni tempo, ma nella storia cristiana può essere collegata alla nascita del movimento donatista.

Origini e caratteristiche

Le origini del movimento possono essere fatte risalire alle prime persecuzioni pagane nei confronti dei cristiani. In particolare, in occasione di quelle volute da Diocleziano (245-313 d.C.), le chiese vennero ad assumere atteggiamenti assai diversi le une dalle altre. Alcune persone accettarono il martirio come qualcosa di benvenuto, altre lo interpretarono come un'inevitabile conseguenza del combattimento tra Cristo e Cesare, altri ancora, più prudentemente, cercarono di temporeggiare, mentre altri finirono con l'abiurare per aver salva la vita.

Quando cessarono le persecuzioni si pose il problema del rapporto tra credenti. Da un lato vi erano quelli che avevano accettato il compromesso, dall'altro coloro che avevano sostenuto la persecuzione a causa della loro fede. Come dovevano essere le loro relazioni? Le persecuzioni avevano marcato in profondità la chiesa e non si poteva certo far conto di nulla.

I donatisti, condotti da Donato di Case Nigrae, rappresentavano l'ala intransigente e chiedevano la deposizione del vescovo Ceciliano. Questi era infatti stato ordinato da Felice al tempo delle persecuzioni e non aveva quindi diritto di ricoprire quella carica. Loro esigevano una chiesa pura ed erano pronti anche a certi compromessi pur di raggiungere il loro obiettivo. Non ebbero quindi problemi nell'appellarsi a Costantino perché fossero esclusi coloro che avevano accettato compromessi. Costantino, dal canto suo, insisteva sulla libertà della fede.

I donatisti costituirono un movimento di notevoli proporzioni (270 vescovi in un concilio del 330 e 279 nel 411 contro 286 vescovi cattolici). Come in molti altri casi, esso si propagò per scissione ed ebbe una notevole influenza.

Anche se i donatisti non potevano offrire una gran varietà di temi, né profondità di dottrina, scrissero parecchio per far conoscere le proprie idee. Oltre a Donato, si può accennare a Ticonio, Ottato, Zenone, Filastrio, Gaudenzio, Paciano. Parte dei loro scritti sono giunti fino a noi attraverso le varie patrologie, mentre altri elementi possono essere colti dagli scritti dei loro avversari.

Il loro avversario più significativo fu Agostino che cercò di confutare le loro tesi. Col tempo finì anche col mutare le proprie concilianti idee sul modo di combattere l'eresia in quanto il fenomeno aveva assunto proporzioni non indifferenti e non sembrava reagire alle varie argomentazioni. Egli giunse ad affermare la necessità dell'eliminazione fisica dell'eresia a causa del male che causava nella chiesa.

Qui di seguito alcune caratteristiche del movimento donatista nel suo complesso.

Un'ecclesiologia fortemente separatista. Tra le caratteristiche del donatismo si può sottolineare il carattere fortemente separatista di chiesa. Quest'ultima deve essere costituita da una comunità di puri. Ciò esige il rifiuto di qualunque chiesa o individuo che pare un po' meno puro.

I pastori che sono stati infedeli durante la persecuzione non possono essere riammessi nella loro funzione in quanto i sacramenti da loro amministrati sarebbero invalidati. La santità e la fedeltà non potrebbero essere comunicati attraverso persone che non sono sante, né fedeli.

Il donatista Petiliano dice «chi riceve la fede da un sacerdote infedele, non riceve fede, ma colpa»! I seguaci di Donato finiscono così per ritirarsi nella cerchia ristretta di coloro che vengono ritenuti puri e devoti, e pretendono di formare la vera chiesa. Ticonio, pure lui un «moderato» donatista, usa per la prima volta l'appellativo di «Babilonia» in relazione alla grande chiesa.

L'autenticità della fede finisce con l'essere legata alla validità della chiesa ed in particolare alla santità di chi esercita in essa il proprio ministerio.

Un rifiuto dello stato e della società. Il donatismo mostra un grande disprezzo per le istituzioni. Tale rifiuto ha uno sfondo di tipo apocalittico. L'idea dell'imminenza della fine sconsiglia l'assunzione di responsabilità e colloca i donatisti in un ruolo molto particolare. Questa ottica è da collegare, molto probabilmente, con il costume nordafricano ed è già presente in Tertulliano, ma esso traduce anche una concezione religiosa tale da permeare tutte le sfere dell'esistenza. L'ideale cui ci si ispira è la separazione intesa nel modo più radicale possibile.

Siccome si pensa che i canoni della chiesa debbano applicarsi anche alla realtà sociale e statale a prescindere da ogni altra considerazione, quando ciò non è possibile, ci si isola in un mondo irreale. Secondo i donatisti, se la separazione nella chiesa assicura la grazia, la separazione nella politica, assicura la giustizia.

Un'adulazione del martirio fisico. Quando la società non si piega alle esigenze della chiesa, si deve ipotizzare il martirio. Non si tratta solo d'una ipotesi remota da accettare solo a causa d'una violenza da parte dello stato, ma piuttosto con una leggera vena di soddisfazione.

Il martirio sembra associato alla grazia per cui sfiora l'idea dell'autoredenzione. Chi accetta il martirio è garantito come qualcuno di veramente puro davanti a Dio.

L'ansia di tramandare le vicende dei martiri ai posteri, è da comprendere in questa ottica. Viene quindi dato corpo ad una sorta di agiografia su coloro che hanno pagato con la vita il loro impegno nei confronti di Cristo.

Osservazioni

 

Il donatismo è considerato dagli uni come un semplice movimento di natura scismatica, mentre dagli altri è invece ritenuto una vera e propria eresia che svuota il messaggio della grazia del suo significato autentico. Certamente motivi di natura molto elevata possono tradire l'Evangelo ed introdurre elementi del tutto estranei ad essi. Il giudizio dovrà quindi andare alla radice dei problemi piuttosto che accontentarsi degli aspetti formali.

La prima cosa da notare è che l'accento esasperato sulla purezza della chiesa relativizza il valore stesso della grazia di Dio e colloca la chiesa su un piedistallo che non le compete. La chiesa non è la congregazione dei perfetti, ma dei peccatori che si ravvedono e sono pronti ad ubbidire.
Il fatto che in principio (de jure) la chiesa debba essere formata solo da credenti, non elimina il fatto che, in pratica (de facto), vi si possano trovare anche dei non credenti. Ciò che si deve proclamare non è la purezza della chiesa, bensì la grandezza della grazia e dell'amore di Dio. La priorità non appartiene alla santità, ma alla grazia.

D'altro lato la grazia che salva non deriva dalla perfezione degli uomini che servono nella chiesa, ma da Dio solo. La salvezza non dipende dalla santità degli uomini, ma da quella di Dio. La Scrittura dice: «La fede viene dall'udire la Parola di Dio...» (Rm 10,17) e Agostino scrive «la mia origine è Cristo, egli è la mia radice e il mio capo. Il seme da cui sono nato è la Parola di Dio alla quale devo ubbidire anche quando il predicatore non pratica ciò che dice. Non credo nel ministro dal quale sono stato battezzato, ma in Cristo che solo mi giustifica e può perdonare».

La volontà di non peccare non si concretizza sempre nemmeno fra i donatisti. Anch'essi non sanno sempre far fronte al peccato e così, per mantenere il sistema che si sono costruiti, finiscono per cadere nel farisaismo. Anziché vivere la purezza, la si simula.

Si deve aggiungere che al preteso rigore del comportamento, non si è sempre associato un altrettanto rigore teologico. Donato, per esempio, su questioni dottrinali quali la trinità, si avvicinò molto alla posizione ariana sulla subordinazione di Cristo a Dio. Il preteso rigore viene dunque praticato solo in particolari settori, e comunque non si riflette in modo adeguato a livello teologico.

Un altro elemento su cui val la pena riflettere è costituito dal fatto che si giudica tutti gli altri a partire dalla definizione di un elemento particolare. Questo fenomeno è abbastanza diffuso e permette ad alcuni di esercitare il proprio insindacabile giudizio a partire da un elemento periferico della fede. Il donatismo, come molti altri movimenti nel corso della storia, ha avuto la pretesa di giudicare tutto partendo dal suo rigorismo ecclesiologico.

Anche il rifiuto dello stato non costituisce una soluzione adeguata. Anche se apparentemente il rifiuto viene presentato come qualcosa di eroico, si deve dire che è spesso molto più facile separarsi che lavorare per un suo cambiamento. Più facile reagire che costruire, ma l'insegnamento biblico non consiste nel rifiuto dell'ordine creazionale, bensì nella riforma di esso.

La visione donatista rappresenta però solo un'illusione mentale, perché, inevitabilmente, ciascuno è condizionato dalla realtà collettiva che lo circonda. La sistematica demonizzazione dello stato riflette in definitiva una forte dose d'orgoglio e conduce ad una spiritualità irrilevante sul piano concreto e sociale.
Infine si noterà una tendenza arrogante ed impaziente nei confronti di tutto ciò che non è ritenuto sufficientemente puro. Anzi, in nome della purezza, i donatisti diventano a loro volta persecutori degli altri e non hanno timore di coinvolgere il potere statale per raggiungere il proprio obiettivo.

La tensione tra chiesa militante e chiesa trionfante viene abolita per cui il tempo presente e quello futuro vengono, in principio, fatti equivalere. Si realizza così una fuga mistica dalla storia che ha sapore alquanto ellenistico. Ciò costituisce, con ogni evidenza, una distorsione del piano di Dio che non fonde mai il già ed il non ancora.

Nel complesso si tratta di un tentativo estremamente ampio di radicalizzare il messaggio dell'Evangelo, ma in definitiva non abbastanza globale per poter riflettere in modo pienamente soddisfacente tutti gli aspetti dell'Evangelo stesso.

Rappresenta quindi un modo per onorare l'ampiezza delle esigenze del Signore per la sua chiesa, ma non si può dire che esso sia stato sufficientemente profondo per «sostituirsi» alla grazia pienamente sufficiente del Signore Gesù.

Il donatismo, anche se ormai da tempo estinto come movimento, è ancora riscontrabile, come temperamento e disposizione, in molti altri movimenti della storia. In diversi altri casi, nel corso della storia, si è infatti assistito ad un rapporto difficile tra chiesa e mondo. Ciò significa che tale rapporto non è per nulla facile e che sovente può dar luogo ad eccessi tali da distorcere il senso stesso dell'Evangelo della grazia. L'esperienza donatista suggerisce la necessità di riflettere in profondità su tale questione.

Bibliografia

 

P. Monceaux, Histoire Littèraire de l'Afrique Chrétienne, voll. 4-7, Paris 1912-1923; Ronald A. Knox, Illuminati e carismatici, Bologna 1970, pp. 73-99 (orig. 1950); W.H.C. Frend, The Donatist Church, Oxford 1952; 1971 (2ed); Id., Martyrdom and Persecution in the Early Church. A Study of a Conflict from the Maccabees to Donatus, Oxford 1964; J.P. Brisson, Autonomisme et Christianisme dans l'Afrique romaine, Paris 1958; E. Tengström, Donatisten und Katholiken: Soziale, wirtschaftliche und politische Aspekte einer Nordafrikanischen Kirchenspaltung, Stockholm 1964; E.L. Grasmäck, Coercitio: Staat und Kirche im Donatistenstreit, Bonn 1964; R.A. Markus "Donatism: the Last Phase" in Studies in Church History I, edd. C.W. Dugmore - C. Duggan, 1964, pp. 118-126; R. Crespin, Ministère et Sainteté: Pastorale du Clergé et Solution de la crise Donatiste dans la vie et la doctrine de S. Augustine, Paris 1965; S. Gherro "Stato e Chiesa di fronte alla controversia donatista nei primi anni dell'età costantiniana" Studi & Doc Hist & Iuris 36 (1970) pp. 359-409.     

 

Comments (0)

You don't have permission to comment on this page.