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Profeta

Page history last edited by Paolo E. Castellina 4 years, 1 month ago

Profeta


In ebraico נביא [ebr. nâbîy' ='in origine "chiamato" (da Dio per un incarico)], in greco προφήτης (prophētēs).

Nell'Antico Testamento

 

Anche se non si può piú considerare il profetismo come un fenomeno particolare ed esclusivo di Israele (fenomeni simili sono conosciuti a Mari (città) nei sec. XVIII a.C., e dalla Fenicia, alla fine del Il millennio), resta sempre il fatto che soltanto Israele il profetismo ha sviluppo che conosciamo, sí da costituire un elemento fondamentale della sua storia religiosa. Anche se è forse eccessivo affermare che i profeti siano stati i soli creatori ed autentici rappresentanti della religione dell'Antico Testamento, si deve riconoscere che gran parte d'essa è stata modellata da loro o sotto la loro influenza.


Profeta non vuol dire indovino o uomo che predice il futuro; la parola greca προφήτης (prophētēs) designa l'uomo che trasmette una rivelazione (oracolo) e che, essendo ispirato, parla in nome della divinità. A questa parola corrisponde il termine ebraico che, originariamente, indicava una classe di persone animate da un particolare entusiasmo religioso. Si tratta di un fenomeno comune a molti popoli antichi e che in Israele era particolarmente fiorente dal tempo degli ultimi Giudici sino al sec. VIII. I nebi'im erano fratellanze religiose con sede presso i santuari e che conservano sempre un rapporto con il culto (tanto che è inesatto separare il sacerdote dal profeta).


Sotto l'influsso dello Spirito di Dio i nebi'im entrano in una specie di esaltazione religiosa, con musiche e danze (1 Samuele 10:5-8; 1 Re 22:6; 2 Re 2:3-7), parlando talvolta nel nome di Dio (1 Re 22:10-28). Avveniva anche che chi si avvicinava a loro mentre "profetizzavano" venisse preso dal medesimo entusiasmo religioso (i messi di Saul e Saul stesso, cfr. I Samuele 19:20-24), Erano anche chiamati "figli di profeti" nel senso di membri di una fratellanza profetica (2 Re 2:3, Amos 7:14). Storicamente i nebi'im sono i difensori della pura religione di Yahweh, contro le infiltrazioni cananee, e non mancano di prender parte attiva nella vita politica del loro paese (cfr. rivoluzione di Jehu). Benché la loro azione sia prevalentemente collettiva, in ogni tempo si ricordano delle personalità profetiche, come Nathan, Micaiah ben Imla (1 Re 22:10-28), Elia, Eliseo. Questi ultimi segnano il sorgere di forti personalità religiose e costituiscono il passaggio al cosiddetto profetismo classico. Intorno al 750 la situazione del mondo palestinese viene profondamente sconvolta: i grandi imperi conquistatori dell'Assiria prima e poi di Babilonia appaiono sulla scena politica di Israele. E' allora che dal profetismo, e spesso in opposizione ad esso, sorgono alcune personalità religiose di primo piano. Mentre per i nebî'im, incapaci di cogliere la portata di questi avvenimenti, la causa di Yahweh rimaneva identificata con quella delle sue visibili istituzioni, la monarchia e il Tempio, i nuovi profeti si oppongono ad essi, qualificandoli come "falsi profeti," e prospettando una visione incomparabilmente più ampia della politica e della storia. Sono le figure di Amos, Osea, Isaia, Michea, Geremia, ecc., chiamati anche profeti scrittori perché lasciano il loro nome ai rispettivi libri dell'Antico Testamento. Benché abbiano la medesima fonte di ispirazione dei nebi'îm, questi profeti devono essere considerati di per sé stessi: essi sono dei grandi isolati, vivono spesso in opposizione con il loro tempo e lo stesso ambiente religioso da cui erano usciti, con la sola forza della Parola divina, di cui erano i messaggeri.


A differenza dei nebi'im, che nel loro entusiasmo religioso avevano difeso Yahweh contro Baal (1 Re 18), questi nuovi profeti sono portavoce di Yahweh, il Dio unico, il Signore di tutti i popoli, il moderatore della loro storia. Compito dei profeti è di annunziare la parola di Dio. Essi si considerano la "bocca di Dio" (Deuteronomio 18:15-20; Isaia 30:2; cfr. Geremia 1:9), i suoi portavoce, le sentinelle che nel nome dell'Eterno vegliano sul popolo (Ezechiele 3:17-21-33:1-20) e che nel suo nome offrono al popolo segni (Deuteronomio 18:21-22; Isaia 7:10-14; 8:17-18). Quando l'Eterno parla, il profeta non può tacere (Geremia 20:9); quando l'Eterno tace, il profeta non ha nulla da dire (Ezechiele 3:26). Il profeta parla perché è chiamato da Dio, e come garanzia delle sue parole egli espone la propria vocazione (Amos 7:14-15; Osea 1; Isaia 6; Geremia 1; Ezechiele 1-3) quale esperienza iniziale e determinante. Senza chiamata non esiste profeta (Geremia 23:21). Ma nell'atto di chiamarli, Dio li manda e da loro un incarico profetico; per questo egli purifica (Isaia 6:5-7) o rafforza (Geremia 1:17-19), dando loro una visione di insieme del loro messaggio (Isaia 6: 9-13; Geremia 1:11-19; Ezechiele 3:4-9). I profeti sono "presi" da Dio interamente, fin nella loro vita familiare e privata: Geremia è invitato a non sposarsi (Geremia 16:4); a Isaia viene indicato il nome che deve mettere ai figli (Isaia 8:3), Osea riceve addirittura l'ordine di sposare una prostituta (Osea 1:2).


I profeti non si esprimono in lunghi discorsi, ma pronunziano brevi e talora brevissime "parole" in forma generalmente ritmata, introdotte o seguite dalla espressione: "Cosí parla l'Eterno" qualche volta in un supposto dialogo con gli ascoltatori ("Voi dite... ma cosí dice l'Eterno"), oppure raccontano un breve apologo (cfr. Isaia 5:1-7). Qualche volta troviamo anche componimenti piú ampi, in forma strofica. Purtroppo le moderne edizioni non danno sufficiente rilievo tipografico al fatto che la maggior parte dei libri profetici (tranne Ezechiele, Aggeo e Zaccaria, e naturalmente Lamentazioni, Daniele e Giona (che non appartengono al genere propriamente profetico) sono costituiti da sezioni molto brevi e riuniti con criteri che non sono sempre evidenti. Nello stesso capitolo sono spesso contenute "parole" molto diverse ed indipendenti tra loro. Un'altra difficoltà per comprendere i profeti sorge dal fatto che nelle loro "parole" i profeti si riferiscono concretamente a fatti e circostanze del momento, che non sempre ci sono noti. Togliendo le parole profetiche dal loro contesto storico si rischia di travisarne il significato. Infine spesso la parola profetica era accompagnata da azioni profetiche, già note ai nebî'im (1 Re 22:11), con le quali essi non soltanto rendevano plasticamente evidente la loro predicazione, ma esercitavano addirittura una specie di influenza a fondo magico, per far realmente accadere quel che avevano annunziato (Isaia 8:1-2; 20:1-6; Geremia 19: 1-13; Ezechiele 4:1-3; 5:1-4 ecc.)


La ricerca biblica dimostra che i profeti non sono innovatori e neppure riformatori religiosi, ma che, nell'ora della crisi che investiva tutta l'esistenza nazionale e religiosa di Israele, essi sono coloro che, richiamandosi alla fede tradizionale, ritrovano il motivo di una piú profonda comprensione dell'opera di Yahweh, che guida il mondo delle nazioni ed esercita il suo giudizio su Israele. Nel suo nome essi chiamano Israele a confronto con Dio; dinanzi ai suoi sviamenti e alle sue infedeltà gli annunziano il giudizio e lo invitano al ravvedimento; ma quando la marea dei popoli sale e sembra sommergere ogni cosa, essi annunziano che Dio ancora regna, che il suo giudizio non è assoluta reiezione, che un resto del popolo scamperà, per preparare la salvezza delle nazioni.
La linea del giudizio e della grazia di Dio corre attraverso la storia degli uomini e la parola dei profeti ne mette in luce ora un aspetto e ora un altro, a seconda del particolare momento storico: cosí nei profeti anteriori all'esilio predomina l'annunzio del giudizio di Dio (Amos 5:18-20; Isaia 2:12-17 ecc.), la denunzia del peccato del popolo (Amos, Osea, Isaia, Geremia, ecc.), l'annunzio della santità di Dio (Isaia 1:4; 6:3 ecc.), la lotta contro le false sicurezze offerte dalle alleanze (Isaia 30: 1-5; 31:1-3; Geremia 27) o dalle osservanze ed istituzioni religiose (Isaia 1:10-17; Geremia 7:1-15 ecc.). Non manca però in questi profeti neppure l'annunzio dei tempi futuri in cui Dio darà pace e vittoria al suo popolo e farà di Israele il centro delle nazioni (cfr. Isaia 9,11; Michea 4:1-5). Nei profeti che vivono durante e dopo l'esilio, a cominciare cori la seconda parte di Ezechiele, predomina invece l'annunzio della salvezza (Ezechiele 37:1-14; Isaia 40:9-11 ecc.) della restaurazione ad opera della potenza del Dio creatore (Isaia 40:21-26; 44:24-28), che governa le nazioni (Isaia 43:1-7; 45:1-7). Piú tardi i profeti si adoperarono per la ricostruzione della comunità religiosa giudaica, quale comunità destina ta a ricevere le promesse della fine dei tempi.


Molti profeti hanno annunziato che nell'avvenire Dio avrebbe compiuto le sue promesse, ed hanno perciò parlato del Messia, del Servo dell'Eterno della Nuova Creazione. Il messaggio profetico come quello di tutto l'A. T., rimane cosí aperto verso un compimento futuro.
Il Nuovo Testamento annunzia che Gesù Cristo ha "compiuto" l'attesa profetica di Israele. Da questo aspetto importante, ma non esclusivo della predicazione dei profeti, è sorta l'opinione erronea che i profeti fossero anzitutto dei veggenti che pronosticarono la venuta di Cristo, fissandone ogni singolo particolare.

 

Il Nuovo Testamento

 

Negli Atti degli Apostoli sono menzionati vari cristiani che profetizzano o sono "profeti" (Agabo, 11:28; 21:10; Giuda e Sila, 15:32; le figlie di Filippo, 21:9) e questo dono è messo in relazione con la discesa dello Spirito Santo sui credenti dopo la imposizione delle mani (Atti 19:6). In 1 Corinzi 14:25 si tratta forse di un fenomeno di lettura del pensiero da parte dei "profeti" in stato di ispirazione. In generale Paolo non sembra identificare la "profezia" con la predizione dell'avvenire, come lo fa il libro degli Atti (11:28 ecc.).
Secondo l'apostolo Paolo, i ministri istituiti da Dio sono in primo luogo gli apostoli, e subito dopo vengono i profeti (poi i dottori), 1 Corinzi 12:28. Il raggruppamento di questi tre ministeri in una triade tradizionale è probabilmente precedente a Paolo. Egli si occupa di loro in modo prevalente, nella 1 Corinzi , perché la loro attività a Corinto. doveva essere maggiormente contemperata con gli altri aspetti della vita comunitaria. Secondo 1 Corinzi 14:3, la profezia ha lo scopo di edificare, esortare, consolare. Essa coincide dunque in larga misura con quello che noi oggi chiamiamo predicazione. La profezia, cosí come appare dal 1 Corinzi 14 (v. anche i capp. 12 e 13), non è una interpretazione ragionata. delle Sacre Scritture, si fonda invece su di una ispirazione particolare. Paolo raccomanda a questo proposito una prudenza piena di discernimento (1 Tessalonicesi 5:19-21; 1 Corinzi 14:29). Cosí ogni messaggio profetico deve essere discusso, e 1 Corinzi 14:35 dimostra che dopo il messaggio dei profeti, non solo vi era l'abitudine di discuterlo, ma anche di porre delle domande. L'autenticità della profezia deve essere giudicata da coloro che poseggono il dono del discernimento degli spiriti.


Paolo pone in evidenza la differenza tra profezia e glossolalia anzi dimostra la superiorità della profezia sul parlare in lingue (1 Corinzi 14) e si augura che la profezia possa acquistare sempre maggiore importanza nelle assemblee. Infatti il "profeta", pur essendo ispirato, parla un linguaggio comprensibile e può essere interpretato e rendere all'assemblea un grande beneficio. Inoltre, il "profeta" conserva il controllo su se stesso. Cosí la sua coscienza è attiva, il che non avviene nella glossolalia l'ideale della ispirazione, secondo l'apostolo, consiste nello sviluppo della coscienza per mezzo dello Spirito di Dio e non già nel suo assopimento. In 1 Corinzi 12:3 e in 1 Giovanni, 4:1-3 sono offerti criteri dottrinali per distinguere il vero dal falso profeta. I due scritti, pur considerando la profezia come un dono dello Spirito, un "carisma," la riconoscono valida unicamente quando le sue affermazioni sono conformi alla fede generale della chiesa. Giovanni mette in guardia contro i "falsi profeti" (1 Giovanni 4:1-6) i quali sono ispirati dallo spirito dell'Anticristo. La profezia però non basta per fare dell'uomo un cristiano, senza amore autentico (1 Corinzi 13:2). D'altronde le profezie "saranno abolite" (1 Corinzi 13:8), al compimento di tutte le cose nel Regno di Dio. L'epistola agli Efesini (2:20) parla della Chiesa edificata sul "fondamento degli apostoli e dei profeli, essendo Gesú Cristo stesso la pietra angolare". La maggioranza degli esegeti moderni identifica quei "profeti" con quelli di cui abbiamo trattato in questo paragrafo, come appare dai passi paralleli di Efesini 3:5 e 4:11. Nell'ambiente ed epoca dell'Apocalisse il ministero profetico occupa un posto considerevole. Lo stesso autore appartiene alla loro categoria (22:9, cfr. 1:9 ss). Dal contenuto dell'Apocalisse si desume che i profeti di quell'epoca e ambiente si occupassero prevalentemente di escatologia (senza escludere la parenesi, cfr. i capitoli 2 e 3) e che ricevessero il loro messaggio per mezzo di visioni estatiche.

 

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