Doppia predestinazione


Doppia predestinazione



Con il termine doppia predestinazione ci riferisce ai concetti di elezione e di riprovazione come espressi dal Calvinismo classico, la cui teologia parla dell'eterno proposito e decreto di Dio, stabilito dall'eternità, di concedere sovranamente la grazia della salvezza ad un numero scelto di creature umane, lasciando il resto a scontare la condanna prevista e dovuta per i loro peccati.
Questo termine oggi ha assunto largamente un significato negativo finalizzato a suscitare un sentimento di indignazione verso la teologia calvinista che ammetterebbe (secondo le semplificazioni dei suoi detrattori), da una parte, l'arbitraria ed immotivata destinazione, da parte di Dio, di una parte delle creature umane al paradiso, cioè alla salvezza eterna, e dall'altra, l'altrettanto arbitraria e immotivata destinazione degli altri alle pene eterne dell'inferno. Si vorrebbe così rappresentare il Calvinista come chi crede ad un Dio fondamentalmente ingiusto, irragionevole e discriminatorio, autore Egli stesso del peccato, e quindi a discreditarne tutto il sistema.


Queste obiezioni, però, sorgono dalla fondamentale incomprensione di un sistema teologico complesso e dei suoi termini. Il termine doppia predestinazione è stato così usato come sinonimo di una concezione "simmetrica" della predestinazione, che vede l'elezione e la riprovazione realizzata, da parte di Dio, secondo una modalità ugualmente parallela. Questa distorsione della doppia predestinazione suggerisce, cioè, un parallelismo fra preordinazione e predestinazione mediante una netta simmetria che può essere chiamata una concezione positiva-positiva della predestinazione. Dio, cioè, in modo esplicito ed attivo interverrebbe nella vita degli eletti per condurli a salvezza, allo stesso modo in cui Dio interverrebbe esplicitamente e direttamente nella vita dei reprobi per portarli a peccare e quindi ad essere per questo condannati. Questa distorsione, così, vede Dio che prima porterebbe qualcuno a peccare per poi punirlo per aver fatto ciò che Egli, in modo monergistico ed irresistibile, ha spinto a fare.


Questa, però, non è la concezione riformata della predestinazione, ma una grossolana ed inescusabile caricatura di questa dottrina. Questa concezione può essere identificata con ciò che in modo spesso superficiale si descrive come iper-calvinismo ed implica una forma radicale di supralapsarianismo. Questa concezione della predestinazione è stata respinta unanimemente e con sdegno dai teologi riformati di ogni epoca.


La posizione classica della teologia riformata vede la predestinazione, piuttosto, come doppia in quanto sì implica sia l'elezione che la riprovazione, ma non simmetrica rispetto alla modalità dell'intervento di Dio. Non c'è alcun parallelismo in questa operazione. Al contrario, la predestinazione è vista nei termini di un rapporto positivo-negativo. Nella concezione riformata, Dio, da ogni eternità, decreta che molti siano destinati all'elezione e positivamente interviene nella loro vita per operare rigenerazione e suscitare in loro fede attraverso un'opera monergistica di grazia. Ai non-eletti Iddio nega quest'opera monergistica di grazia, "passando loro oltre" e lasciandoli a sé stessi nella giusta conseguenza penale del loro peccato. Egli non opera monergisticamente il peccato o l'incredulità nella loro vita. Ecco così come la modalità operativa di Dio nella vita degli eletti non sia parallela a quella nella vita dei reprobi. Iddio opera monergisticamente la rigenerazione, giammai il peccato.

 

Le confessioni di fede riformate sull'argomento

 

 

 

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