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Pelagianesimo

Page history last edited by Paolo E. Castellina 4 years ago

Pelagianesimo

 

Il termine pelagianesimo proviene da Pelagio (ca. 350 - ca. 425 dC), un austero "monaco" proveniente da una facoltosa famiglia d'origine britannica e a tale termine è associata una delle deviazioni dall'ortodossia cristiana del quinto secolo. Anche se qualcuno potrebbe avere qualche esitazione a collocare il pelagianesimo tra le eresie, il fatto è riconosciuto anche da un teologo liberale come Schleiermacher che parla del pelagianesimo come di una delle "naturali eresie del cristianesimo".
In generale il termine pelagiano è usato quando è sottovalutato il primato della grazia per la salvezza dell'uomo ed è esaltato il potere dell'uomo.
Il pelagianesimo ha registrato numerosi risvegli nel corso del tempo e ha trovato spazi per affermarsi sia in ambito cattolico che in quello protestante. Anche nella sua forma più moderata di semipelagianesimo, esso è stato motivo di disorientamento e ha attraversato il periodo della Riforma per giungere fino al ventesimo secolo.

Origini e caratteristiche

 

Pelagio era più un moralista che un teologo. Egli era preoccupato di salvaguardare la dignità umana ed incoraggiare ad una maggior dedizione a Dio.

La preghiera di Agostino: "Dacci ciò che tu comandi e ordina ciò che vuoi" lo turbava notevolmente perché sembrava squalificare le risorse umane lasciando l'uomo alla mercè del fato. Egli riteneva necessario richiamare i cristiani all'impegno ed alla responsabilità personale puntando sull'idea che l'uomo avesse la possibilità reale di fare ciò che voleva. Secondo lui l'azione sarebbe determinata da tre elementi: il potere (posse), il volere (volle) e l'eseguire (esse). Mentre il primo elemento verrebbe esclusivamente da Dio, gli altri due sarebbero pertinenti all'uomo.
Pelagio vedeva il peccato originale come un disordine dei sensi dell'uomo e non come qualcosa che toccava la sua intera natura. L'uomo poteva quindi cooperare alla propria salvezza, perché le sue risorse non erano state intaccate in maniera radicale. Egli sosteneva inoltre con tenace ostinazione che erano da considerare peccati solo le disobbedienze coscienti. In questo contesto egli sosteneva l'idea della impeccabilità di Maria.
A Pelagio furono associati Celestio ancor più radicale e combattivo e pi- tardi Giuliano di Eclano (386-455) nell'Italia del sud. Celestio fu condannato dal Sinodo di Cartagine (411 dC). Lasciò allora Cartagine dove non poteva ricevere l'ordinazione e si recò a Roma dove pot‚ invece essere ordinato (411 dC) e dove riuscì a meglio diffondere le proprie idee.
Le convinzioni di Celestio, che rappresentano in buona parte anche quelle di Pelagio, possono essere riassunte nei sei capi d'accusa presentati dal diacono di Milano Paolino e che condussero alla condanna di Celestio a Cartagine.
Primo, Adamo fu creato mortale e sarebbe morto anche se non avesse peccato. Egli negava così la connessione tra peccato e morte. Secondo, il peccato di Adamo riguardò solo lui e non ebbe conseguenze per la razza umana nel suo complesso. Terzo, i bambini nascono innocenti come Adamo per cui il peccato di quest'ultimo non ha conseguenze sui discendenti. Ciò significa che ogni individuo è creato immediatamente da Dio e non è macchiato dal peccato. Quarto, la morte degli uomini non deriva dal peccato di Adamo, ma dalla loro stessa mortalità. Quinto, la salvezza è ottenuta sia attraverso la legge che attraverso la grazia. Sesto, prima della venuta del Signore Gesù Cristo sono esistite persone senza peccato.
Alle opinioni di Celestio se ne possono aggiungere altre due che integrano il pensiero del pelagianesimo. Settimo, la grazia di Dio non è così necessaria alla santificazione dell'uomo. L'espiazione non fu dunque un sacrificio con carattere legale per soddisfare le esigenze della giustizia di Dio, ma un semplice esempio da imitare. Ottavo, la grazia viene data all'uomo in proporzione ai suoi meriti.
Nel complesso l'ottica pelagiana ritiene che l'uomo sia dunque capace di decidere da solo di seguire il Signore, di qui l'importanza attribuita anche al fervore e all'entusiasmo dell'uomo stesso nel suo impegno verso Dio. Il movimento privilegia dunque un perfezionismo ascetico e mette l'accento sull'impegno personale.
Il semipelagianesimo insegna la necessit della grazia di Dio per la salvezza dell'uomo, ma afferma pure la possibilità di accettare o respingere la grazia di Dio da parte dell'uomo. L'arminianesimo del XVI secolo ha le sue radici nel pelagianesimo e semipelagianesimo del quinto secolo e ne costituisce un prolungamento.

 

Osservazioni

 

A Pelagio si contrappose Agostino. Malgrado la nota tensione tra la sua dottrina della salvezza sostanzialmente evangelica e la sua ecclesiologia cattolica, Agostino combattè con vigore le idee pelagiane. Anche se è stato notato come l'opposizione fosse più centrata sulla concezione del battesimo attraverso cui avveniva l'incorporazione nella chiesa visibile anziché sulla grazia (Warfield), Agostino ebbe un ruolo di primo piano nel sostenere l'insegnamento biblico.

Uno dei rilievi critici che si possono fare al pelagianesimo consiste nella frammentarietà della sua analisi. A parte il fatto che sembra illecito essere così ottimisti sulla situazione umana da pensare che se vuole l'uomo può osservare i comandamenti di Dio senza peccare, il peccato è considerato un fenomeno isolato.
Il peccato è visto come un atto individuale errato senza connessione al contesto più ampio. E' come se l'uomo potesse essere veramente separato dall'ambito in cui si ritrova. Ma una visione così frammentaria e atomistica della realtà non aiuta perch‚ tralascia uno dei temi biblici più fecondi come quello dell'alleanza di Dio con l'uomo.
Tutto il discorso sulla situazione dell'uomo s'iscrive nell'ambito della riflessione sull'alleanza. L'uomo non è solo malato, è perduto; non è solo limitato, è condannato. Se si prescinde dall'alleanza non c'è alcuna possibilità di piacere a Dio. Ecco perché è impossibile non peccare. Non è forse scritto che l'uomo è "morto nei falli e nei peccati"? La nozione d'alleanza che si trova nella Bibbia indica che l'uomo deve essere visto all'interno di una cornice. Quest'ultima fa sì che l'uomo possa essere liberato dalla schiavitù del peccato per mezzo della grazia di Dio o rimanga schiavo del peccato qualunque siano le sue intenzioni.
A tale rilievo segue quello della banalizzazione del rimedio. Siccome la diagnosi sulla situazione umana non è sufficientemente radicale, non lo può essere neppure la soluzione proposta. Apparire più umani quando è in gioco la salvezza equivale ad essere disumani.
Alla superficialità dell'analisi e della soluzione pelagiana Agostino e i Riformatori contrapposero l'affermazione della radicale schiavitù dell'uomo a causa del peccato. Alla convinzione che l'uomo fosse l'agente della propria conversione e la grazia di Dio solo un elemento sussidiario, contrapposero l'affermazione che la salvezza era opera della grazia sovrana di Dio attraverso Cristo. Il rimedio provveduto da Dio non fu visto come un elemento sussidiario, ma qualcosa di assolutamente necessario.
In terzo luogo il pelagianesimo rappresenta una forma di razionalismo. Esso proclama l'autosufficienza della ragione umana e quindi la possibilità d'avvicinarsi autonomamente a Dio senza dipendere dalla grazia sovrana che è in Cristo Gesù. La posizione naturalistica del pelagianesimo, anche se permeata di spirito religioso, si risolve nella pretesa autonomia dell'uomo da Dio.
La rivelazione biblica afferma invece l'avversione dell'uomo naturale alle cose di Dio e la radicale distinzione tra Creatore e creatura. Dio e l'uomo non sono mai coestensivi per la Scrittura e non possono quindi essere inseriti in un processo di tipo lineare.
L'uomo non ha infatti solo bisogno d'aiuto, ma di salvezza. Non ha solo necessità di un esempio, ma di un redentore. La posta in gioco non è qualcosa di periferico, ma un elemento di fondo della fede cristiana.
Philp Schaff riassume la differenza tra Pelagio ed Agostino dicendo: "L'anima del sistema pelagiano era la libertà umana, quella agostiniana era la grazia divina". Ciò che opponeva Pelagio ad Agostino non era tanto una diversità di stile tra freddezza anglosassone e passione del sud, ma un contrasto che aveva a che fare con le fondamenta stesse del conoscere e della fede cristiana. Quando l'accento si sposta dalla fede nella grazia sovrana di Cristo alla fede nel potere dell'uomo, si sposta il baricentro del discorso e siccome ogni idea ha delle conseguenze pratiche, si realizza una distorsione gravida di conseguenze. Lo stato, l'educazione, la scienza vengono sganciati dalla sovranità di Dio assumendo un ruolo salvifico.
Le vicende di Pelagio e dei vari simpatizzanti, anche se spesso assai contorte, attirano per quel tanto di perfezionismo che raccomandano, ma meritano pure di essere considerate criticamente per la tendenza a ridurre l'importanza della dottrina e della grazia. L'itinerario che propongono è troppo vicino alle ambizioni dell'uomo per poter veramente valere nell'ambito del cristianesimo.
La serietà con cui Pelagio viveva le proprie convinzioni morali, le sue notevoli doti di predicatore e la tendenza ad assorbire posizioni dottrinali anche diverse tra loro, gli procurarono una viva ammirazione ed un certo seguito. Ma il fatto che egli potesse destare una certa ammirazione non può eliminare le radici dottrinali della questione.
Siccome per la Scrittura la buona dottrina è sana nel senso che deve condurre all'ubbidienza, risulta inaccettabile sganciare il rinnovamento etico da una coerente base teologica. Delle basi insufficienti conducono prima o poi a pericolose deviazioni anche sul piano pratico.
Evocare la dolce ragionevolezza di Pelagio e la sua moderazione come elementi particolarmente qualificanti del suo pensiero, non attenua per nulla la profondità della questione e le sue drammatiche conseguenze. A ben vedere anzi, l'elasticità pelagiana sulle questioni teologiche di fondo mostra la sua indifferenza verso esse piuttosto che la sua libertà.
Da parte loro i teologi ortodossi erano consapevoli che fosse in gioco la sostanza stessa della fede e per questo osarono combattere strenuamente per essa. Quella che a prima vista avrebbe potuto apparire solo una questione formale aveva purtroppo uno spessore assai pi- radicale che richiedeva una riflessione ed una coerenza totale.
Più tardi anche Wycliff combatt‚ il pelagianesimo presente nella chiesa del suo tempo (De causa Dei contra Pelagium) mostrando così che molto spesso le questioni del passato sono destinate a ripetersi e che è quindi assolutamente importante capire la posta in gioco per evitare equivoci.

BIBLIOGRAFIA

 

  • Clavis Patrum Latinorum, edd., E. Dekkers et A. Gaar, Steenbrugge 21961, 728-766; Sant'Agostino, Contro i pelagiani / Natura e grazia (Opera omnia XVII/1-2), Roma, Città Nuova 1981; Id., Contro i semipelagiani / Grazia e libertà (Opera Omnia XX), Roma, Città Nuova 1987;
  • J.B. Mozley, A Treatise on the Augustinian doctrine of Predestination, London, J. Murray 1883; A. Harnack, Storia del dogma, vol V, Mendrisio 1912;
  • B.B. Warfield, Studies in Tertullian and Augustine, New York, Oxford University Press 1930; G. de Plinval, Pèlage: ses ‚crits, sa vie et sa réforme, Lausanne 1943;
  • J. Ferguson, Pelagius. A Historical and Theological Study, Cambridge 1956; J.N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, Bologna, il Mulino 1972, pp. 437 ss. (orig. 1960);
  • R.F. Evans, Pelagius: Inquiries and Reappraisals, London 1968;
  • A.P.F. Sell "Augustine versus Pelagius: A cautionary tale of perennial importance" CTJ XII (1972) 117-143;
  • D.F. Wright "Pelagius the Twice Born" Churchman 86 (1972) pp. 6-15; Inst. Pat. Aug. (Quasten, III), Patrologia III, a cura di A. Di Berardino, Casale Monferrato 1978, pp. 435-465;
  • P.F. Fransen "Augustine, Pelagius and the Controversy on the Doctrine of Grace" Louvain Studies XII (1987) 172-181;
  • R.A. Markus "The Legacy of Pelagius: Orthodoxy, Heresy and Conciliation" in R. Williams (ed), The Making of Orthodoxy. Essays in Honour of Henry Chadwick, Cambridge, CUP 1989, 214-234 (sui semipelagiani).     

 

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